venerdì 19 marzo 2010

"Le città sotterrane dell' illegalità" di Gerardo D'Amore




"Dai discorsi che si sentono in giro e che attingono a una sociologia spicciola , sembra che ogni città si divida in due : quella legittima dell’opinione pubblica, delle corporazioni e associazioni professionali, dei partiti e quella più o meno invisibile dell’illegittimità, della microcriminalità, della prostituzione palese o occulta, della tossicodipendenza, della camorra. Questi due mondi sociali diversissimi convivono, si sfiorano e coesistono senza che gli sguardi degli abitanti di un mondo si soffermino sui frequentatori dell’altro.

Forse questa considerazione nasce proprio da una visione cattolica del mondo che individua tutto il male da una parte ed il bene dall’altra.

Albert Camus diceva che le forze che si affrontano nella tragedia sono ugualmente legittime , ognuna è allo stesso tempo buona e malvagia - Antigone ha ragione, ma Créonte non ha torto-. mentre nel melodramma una sola è quella legittima. Quest’ultimo, infatti, fornisce una visione semplicista ( e forse ipocrita) della rappresentazione. In esso una è la figura che personifica il bene e un’altra, contrapposta alla prima, personifica il male.

Sulla questione della legalità si è messo in piedi un teatro di propaganda che altro non è che la resurrezione del melodramma ( o , se si preferisce, dell’operetta) .

La città illegale diventa un mondo oscuro, marginale che si muove nell’ombra dell’economia informale, semilegale o illegale.

L’esistenza della criminalità organizzata ci illumina, invece, sui meccanismi di ciò che viene definito “ società legittima”.

Si racconta attraverso i giornali che la città legale non condivida nulla di quella illegittima pur evocandola in continuazione e facendone la fonte di ogni disagio o, come si dice oggi, “degrado” urbano e civile. La realtà vera sembra, però, essere un’altra.

La città legale non è affatto estranea rispetto a quella illegale, ma ricorre a quest’ultima per un gran numero di servizi e di prestazioni: dal lavoro domestico a quello in nero nei cantieri, negli esercizi commerciali, dalla domanda dei vari tipi di prostituzione a quella di stupefacenti, gioco d’azzardo o credito illegale. La città illegittima è , quindi, titolare di un’offerta di servizi la cui clientela è costituita in gran parte dai membri della società legittima . Frequentemente le stesse forze dell’Ordine, obbedendo a leggi di convivenza , tollerano particolari traffici di vicolo perché , non destando grande allarme sociale, favoriscono, a certe condizioni, la stabilizzazione dei comportamenti e il controllo sociale del territorio. Le mafie mutuano la loro organizzazione del lavoro dal mondo c.d. civile e, adattandosi a un sistema economico che privilegia la flessibilità, si avvalgono di collaboratori part-time, preferibilmente reclutati tra gente comune che integra il proprio reddito legittimo. E’, pertanto, pressoché impossibile rico¬noscere un qualsiasi confine certo tra «devianza» e «conformità». Lo stes¬so universo di valori che trasmette ai cittadini «normali» gli imperativi quotidiani del successo personale, della competizione e del consumo è pienamente condiviso da coloro che vengono definiti «criminali”.

Quanto fin qui detto ci induce alla conclusione che la città civile ha semplicemente fatto, della stigmatizzazione della città delle ombre, uno dei rituali pubblici più diffusi ( nella stampa e nelle televisioni locali, nelle assemblee di partito e nei bar) quasi ad esorcizzare un fenomeno più generale che la coinvolge,

Se pensiamo a tutto questo il richiamo al rispetto della legalità diventa risibile . Di quale legalità parliamo? Il tanto invocato rispetto delle leggi in epoca nazista avrebbe significato l’obbedienza pedissequa alle leggi razziali.

Da un punto di vista strettamente “morale” è più delinquente chi commette un furto sulla metropolitana oppure chi ha ideato e poi “collocato” le obbligazioni della Parmalat , della Cirio , della Merril Linch e di Lehman Brothers fino a poco tempo fa in vendita presso i nostri Istituti finanziari? Non parliamo , poi, delle banche ove vengono depositati i risparmi della società civile. Mi sembra poco realistico vederle mentre, con fare certosino, separano il capitale proveniente da guadagni leciti da quello derivante da azioni illecite al quale impietosamente sbarrano il passo. E’ più probabile che siano prodighe di consigli su come evadere i controlli effettuati a norma della legge antiriciclaggio.

La legalità non è forse espressione di quel mondo “civile” che evade le tasse, costruisce in frode a qualsiasi legge urbanistica e/o si aggiudica un appalto con l’aiuto fattivo delle Istituzioni? In una realtà “sovietica” in cui il libero mercato è semplicemente una figura ideologica e l’impresa privata si costituisce esclusivamente su commesse pubbliche chi può dirsi innocente di fronte ad una criminalità tanto diffusa da apparire un fenomeno di massa?

Qualche anno fa ( almeno 30) il giornalista Aldo De Jaco di “Paese sera” scrisse un libro Inchiesta su un comune meridionale : Castelvolturno. Editori Riuniti, 1972 inquisendo chi aveva occupato il demanio pubblico per costruire enormi grattacieli. Domandatevi quali posti di rilievo nella società legale oggi occupa l’artefice di tali disastri urbanistici.

Non sono uno di quelli che crede , peraltro, nell’esistenza di un capitale buono (produttivo) e uno cattivo ( la finanza, la rendita ecc.). Il capitale è un solo e purtroppo non è divisibile e le logiche che lo spostano da un settore all’altro (da quello produttivo a quello finanziario) non obbediscono a leggi morali , ma ad interessi del momento , alla remunerazione dell’investimento.

Tutte le società industriali convivono dalla loro nascita con fenomeni di imprenditoria con il mitra, diventata, quindi , fisiologica . Sradicarla sarebbe bello , ma non sempre ciò che è bello è , poi, realistico. Quello che più mi interessa non è stabilirne l’origine, ma combattere « la sua violazione d'umanità”, l’ attacco portato ai diritti di libertà, di lavoro, di informazione e al più generale diritto alla vita. Non possiamo delegare ai giudici questa battaglia , né possiamo affrontala con leggi speciali ( il modo classico per non risolvere le questioni nel nostro paese e di creare i c.d. professionisti dell’antimafia ( Leonardo Sciascia). Penso ci sia bisogno di gesti drammatici, necessari per una catarsi dei quali da sempre si parla senza dargli concretezza ( non a caso) : Stazione unica appaltante ( alle dipendenze della Corte dei Conti); blocco totale dei finanziamenti al Sud ; trasparenza amministrativa; divieto assoluto di subappalto. Affianco a questo si avverte la necessità di “riportare il lavoro al primo posto prima, cioè, di quella marea di argomenti che sembrano sempre più importanti ” e di ripensare il concetto e la pratica della democrazia e della libertà lontano dalla politica e dai suoi fallimenti".




*Gerardo D’Amore

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